Quanto conosce il cittadino medio, al finire delle scuole, del mondo?
La risposta, nella totalità dell’Occidente, è facilmente: poco.
Scandalosamente poco.
Non si tratta della sola Italia. Peregrino da tempo dentro e fuori il blocco euroatlantico.
La parziale eccezione alla regola, sono le classi alte: quelle che mandano i figli alle scuole private, che fanno ferie intercontinentali, che per lavoro o passione si interfacciano con il mondo fuori dai confini dell’Unione.
C’è comunque poco di cui consolarsi: l’eccezione è parziale. Chi attraversa l’Atlantico per finire in un villaggio turistico della Ribera Maya, conosce il Messico come io conosco la fisica quantistica.
I media non parlano di Africa, l’editoria parlano di Asia solo quando investe in pieno le fantasie orientaliste dei progressisti che indossano occhiali alla Oliviero Toscani, la scuola liquida in tre parole tutto quello che non è Occidente.
È una fregatura epica per la nostra civiltà: a furia di guardarci l’ombelico, rischiamo di non contemplare il cielo e i meteoriti che sono sul punto di caderci sulla zucca.
Le migrazioni, le disgregazioni di paesi interi, il commercio internazionale, l’apocalisse che verrà dalla resistenza agli antibiotici, il terrorismo, le fratture dell’Islam.
Come si fa ad interpretare le sfide contemporanee senza un minimo di alfabetizzazione mondiale?

Gerusalemme: il tipico caso in cui si è convinti di sapere tutto, e invece non se ne sa un cavolo.
Conosciamo l’Australia per i canguri, l’Africa giusto per il passato coloniale europeo, il Nordamerica per i film, il Sudamerica per essere la terra dei sognatori disillusi dell’Occidente, l’Asia per essere la nuova fabbrica mondiale.
Prendiamo la Cina.
È difficile capirla senza avere qualche nozione di storia e cultura cinese. Imparare il cinese a scuola? Lasciamo perdere, dicono tutti: facciamo già figure barbine con l’inglese.
Il problema è la Cina è il primo esportatore di ormai quasi qualsiasi prodotto e tra poco pure il primo importatore.
È il paese più popoloso, il principale contaminante del pianeta e la forza egemonica che dopo essersi mangiata il Giappone si prepara ad eclissare gli Stati Uniti.
I cinesi mandano i burocrati in Europa ad imparare il diritto romano, per redigere codici cinesi migliori, ci dicono. E noi, tronfi, ci gonfiamo il petto.
Certo, ma la Cina è lo stesso paese in cui da secoli si diventa funzionario pubblico mediante un pubblico concorso.
Abbiamo abbondanti testimonianze di quanto fosse complicato, delle disperazioni dei candidati che non riuscivano ad entrarvi, della dura preparazione all’esame.
Ciò di cui ci mancano le prove, è che fosse un paese di cognati e di imbucati; ma ora, spostiamoci un pelo più a sudovest: l’India.
È assurdo avvicinarsi al subcontinente senza un bagaglio di nozioni base, che non si danno nella scuola pubblica.
I monsoni, la diversità religiosa, le riottosità etniche, tutte le fasi dello sviluppo umano dall’Età della Pietra a quella dei satelliti, l’eredità britannica.
Dell’Africa, vogliamo parlarne? È giusto una comparsa nei libri scolastici.
Trattata come un pezzo di terra omogeneo, come se da Tangeri a Città del Capo non ci fosse poi un universo di climi, flora, economie e genti diverse.

Quante Afriche esistono? Una, dieci, mille?
Togliamo pure l’antico Egitto e Cartagine, spesso tagliati dal capitolo Africa per essere incollati in quello Mediterraneo.
Continuano ad esserci ottime ragioni per abbassare le orecchie e prendere appunti. In ordine sparso: i regni di Axum, del Congo, del Benin e di Saloum; il Sultanato di Ajuran; gli imperi Mali, Ashanti e Songhai.
E le decine e centinaia di popoli, Khoikhoi e Yoruba per menzionarne un paio, che hanno lasciato tracce più labili.
Definire secondo criteri propri cosa sia una civiltà avanzata e cosa non lo sia, non è solo farci un dispetto da soli, ma esporci anche all’autogol.
Se la scrittura, le espressioni artistiche figurative, l’organizzazione statuale, la produzione e il commercio sono prova dello sviluppo di un popolo, allora dobbiamo già sentirci meno superiori, in quanto occidentali.
Il problema è che forse, lo stimolo a dare maggior protagonismo al mondo extraeuropeo, viene da istanze terzomondiste, di progressisti acritici per cui l’Occidente è il male a priori e la nazione extraeuropea di turno, la vittima da risarcire ugualmente a priori.
Risarcire materialmente e culturalmente, parlandone a scuola e nei mezzi di comunicazione.
Una miglior conoscenza di quanto successe e succede al di là delle frontiere dell’Europa, è un must, un obiettivo bipartisan.
Non si capisce perché la nuova Via della Seta generi tante polemiche, se non si capisce la geopolitica internazionale. Non si comprende perché un paese così ricco e promettente come il Venezuela arrivi in vent’anni al collasso.

Bukhara, città simbolo dell’antica Via della Seta.
Non si capisce perché i narcotrafficanti e i gruppi terroristi nostrani abbiano in agenda i contatti delle FARC, né perché masse di disperati inizino un esodo di mesi verso l’Europa quando le speranze di arrivarci sono così fioche.
Non si comprende perché in Australia il cinese sia una delle lingue straniere più studiate e pure i ministri la parlino.
E dentro i confini del Vecchio Continente, si continuano a non capire un mucchio di cose.
I libri scolastici francesi di storia nei quali i cugini d’Oltralpe si ritagliano il ruolo di benefattori in Algeria, l’imperialismo russo in Asia centrale ed orientale, le diatribe che non si spengono mai sull’eredità araba in Spagna.
Se vogliamo smettere di pensare, niente di meglio: basta che ci vada bene essere trattati da sudditi, anziché da cittadini.
Letture Consigliate
Per approfondire sull’Africa:
Breve storia dell’Africa, di Catherine Coquery Vidrovitch
Congo, di David Van Reybrouck
Per approfondire sull’Asia:
Cina. Una Storia Millenaria, di Kai Vogelsang
Sovietistan. Un viaggio in Asia centrale, di Erika Fatland
Per approfondire sull’Australia:
La riva fatale. L’epopea della fondazione dell’Australia, di Robert Hughes
Per approfondire sul continente americano:
Sicari a cinque euro. Vita e morte in Centroamerica, di Alessandro Di Battistta
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