Te lo immagini Capitan Findus ad armeggiare con un cannone, piuttosto che far pubblicità dei bastoncini con la pipa in mano?
Sarebbe una guerra del merluzzo in piena regola (grassa risata).
Il punto è che si parla sempre di guerre dell’acqua, guerre per il petrolio, guerre per le terre rare.
Ma quando c’è di mezzo uno dei pesci più consumati ed apprezzati del pianeta, gli scontri possono scapparci.
E così è stato: per ridicolo che possa sembrare il nome, ai millennials, la cosiddetta Guerra del Merluzzo è esistita e assunse quasi la dimensione di uno scontro bellico.
In realtà, noi esseri umani abbiamo una certa facilità a scatenare guerre, qualsiasi ne sia la ragione.
Il preludio alla Guerra del Merluzzo
La Guerra del Merluzzo, una tragedia in più atti, è uno dei tanti conflitti sorti a proposito delle risorse ittiche.
La disputa fu tra Gran Bretagna e Islanda.
Secondo gli anglosassoni, gli islandesi si arrogavano diritti di pesca in zone che non corrispondevano loro e con quote superiori al limite legale.
Parliamo di un querelle che dura tra il 1958 e il 1976, in un mondo che sì, cresce, ma sempre nell’ambito della Guerra Fredda e del suo terrore nº1: l’olocausto nucleare.
Le zone di pesca sono da sempre risorse ambite.
Forse non godono nella cultura popolare della stessa visibilità delle miniere d’oro o dei pozzi petroliferi, ma dall’antichità ci si sgomita tra popoli per poter andare a pescare dove sappiamo c’è abbondanza di pesce.
L’Atlantico del Nord è una di queste zone: i mari islandesi sono pescosi.
La confluenza delle acque gelide con la Corrente del Golfo è una calamita per il plancton, che si traduce in un forte richiamo per le altre specie ittiche.

Prima di diventare bastoncini, il merluzzo ha quest’aspetto.
Baschi, francesi, britannici e nordeuropei si recano in questa zona per pescare almeno, da quanto sappiamo, dal ‘400.
Com’è facile supporre, le relazioni tra i pescatori dei vari paesi non sono sempre idilliche.
Nel 1893, la Corona danese e quella britannica cercano di trovare un accordo al tal proposito.
L’Islanda è territorio danese e questi vogliono fissare il limite delle loro acque territoriali a 93 km dalle coste.
Londra rifiuta: se tutti quanti si affacciano sul Mare del Nord facessero lo stesso, i pescherecci di Sua Maestà avrebbero difficoltà ad approvvigionare di fish i chioschi di fish and chips.
Gli inglesi si ridurrebbero a mangiare solo chips. Impossibile.
Un accordo è raggiunto, ma con poca convinzione.
Sei anni dopo, davanti alle coste delle isole Fer Oer, la Marina danese cannoneggia il peschereccio britannico Caspian e ne mette in carcere il capitano per un po’.
Gli incidenti si susseguono, l’opinione pubblica britannica clama l’intervento militare, ma si risolve con un nuovo accordo: sei kilometri di acque territoriali per 50 anni.
È il 1901. Con la Prima Guerra Mondiale in corso, smettono tutti di pensare ai pesci per concentrarsi altrove.
Ma il Trattato di Versailles col quale ha termine il conflitto, rilancia l’importanza dei mari nordici per le flotte pescherecce inglesi.
Passa pure la Seconda Guerra Mondiale, l’Islanda si indipendentizza dalla Danimarca con un referendum e si incammina verso il futuro.
Tuonano i cannoni: la Guerra del Merluzzo si avvicina
Negli anni ’50, né i servizi finanziari, l’informatica, il turismo o la protesistica sono così rilevanti per l’economia islandese come lo sono oggi.
Il pesce è il petrolio dell’isola e il 1 settembre 1958, il Parlamento islandese approva una legge che estende le acque territoriali fino a 22 km.
Iniziativa unilaterale, che verrà criticata dalla NATO, Londra in primis.
I britannici si rendono conto che protestare è inutile, allora decidono di mandare la Royal Navy a scortare i loro pescherecci.

Thor, mostro di classe Ægir in dotazione alla Marina islandese: progettata dalla Rolls Royce, fabbricata in Cile.
Quando gli islandesi vedono arrivare all’orizzonte lo Squadrone di Protezione della Pesca, come era stato chiamato dal Governo di Downing Street il mucchio di navi da guerra mandate lassù, escono a protestare davanti l’ambasciata del Regno Unito.
L’Operazione Whippet (dal nome di una popolare razza di levrieri inglesi, dei Greyhound in miniatura), è iniziata.
Seguono tre anni di scaramucce tra pescatori e militari di ambo i paesi. Nessuna vera guerra, ma tensione e strilli diplomatici.
Alla fine, con la mediazione della NATO e dell’ONU, si raggiunge un compromesso.
All’Islanda viene riconosciuta un’estensione di 22 km dalla costa di acque territoriali.
Alla Gran Bretagna, diritti di pesca in determinate porzioni di mare, alcune delle quali all’interno del perimetro delle acque islandesi ma solo per tre anni.
In caso di ulteriori dispute, sarebbero dovuti andare all’Aia, al Tribunale Internazionale. L’Althing, il Parlamento islandese, dal canto suo ratifica la decisione l’11 marzo 1961.
Le 37 navi da guerra britanniche se ne tornano a casa, così come le sei islandesi. Si conclude finalmente per ambo le parti la Cod War e la Þorskastríðin, ossia la Guerra del Merluzzo.
Macché: uno non riesce a vivere ai confini del pianeta senza essere un testone risoluto.
Si ritorna in guerra per il merluzzo
Il 1 settembre 1972 (succede sempre ad inizio settembre), il Governo amplia di nuovo unilateralmente le sue acque territoriali: adesso, sono 93 km.
La ratio, dal loro punto di vista, era il rapido declino della produttività di quelle acque, dovuto all’eccesso di pesca.
Interesse ambientale o commerciale che sia, ora gli unici a simpatizzare con l’Islanda sono una manciata di paesi africani, dato che il governo sinistrorso dei vichinghi aveva cercato di presentare la cosa come un attacco colonialista dei soliti noti europei.
Com’è facile immaginare, la Royal Navy non sta con le mani in mano.
La Gran Bretagna, appoggiata dalla Comunità Europea nascente ma anche dai paesi del Patto di Varsavia, non è disposta né a perdere quote di pesca, né a lasciare che un’isola con più vulcani che abitanti crei un precedente che stimoli mezzo mondo a fare lo stesso.

Il peschereccio Coventry passa a fianco del pattugliatore islandese Albert presso il Westfjords nel 1958, durante la prima Guerra del Merluzzo
La Marina militare islandese procede ad azioni di disturbo.
Cerca di mandar fuori dai nuovi limiti i pescherecci che trova, e se questi si rifiutano, iniziano a tagliarne le reti.
Solo che stavolta, sebbene non intenzionatamente, ci scappa il morto.
Il 25 settembre 1972, un membro dell’equipaggio del peschereccio tedesco Erlangen, batte la testa e muore nell’atto mentre un pattugliatore islandese stava distruggendone le reti a strascico.
Prima che i britannici potessero dispiegare il loro completo arsenale di guerra, giunge un evento (quasi) inaspettato: l’eruzione di un vulcano.
La Guerra del Merluzzo ha un’insolita tregua
Il 23 gennaio 1973, l’Eldfell (in islandese, collina di fuoco) costringe i militari a tornare per prestare soccorso ai civili.
Per un po’, i pescatori lavorano indisturbati. L’attività eruttiva dura circa sei mesi, ma a maggio c’è fuoco incandescente su un altro fronte, e non viene dalle viscere della terra.
Il 19 maggio 1973, un buon numero di fregate britanniche accompagnano i connazionali pescherecci nelle acque disputate: scoppia il finimondo.
Si inizia a chiamare i tre anni di crisi peschiera precedente, la prima guerra del merluzzo; perché adesso, a tutti gli effetti, sta iniziando la seconda.
Inizia la Seconda Guerra del Merluzzo
Se gli islandesi durante la prima avevano minacciato di sfrattare le basi americane sull’isola, adesso ne chiedono il supporto.
Il premier Ólafur Jóhannesson, socialdemocratico, chiede all’ambasciatore americano di bombardare le fregate inglesi con la loro aviazione.
Invocano l’applicazione dell’Articolo 5 della NATO: un attacco contro un paese membro è un attacco contro tutti.
Piovono sassi e mattoni sull’ambasciata del Regno Unito a Reykjavík; in mare, pescherecci e navi militari si minacciano e sgomitano l’uno con l’altro.
Ci scappa il secondo morto: ora, è un ingegnere che muore folgorato mentre era occupato riparando uno scafo.
Il 16 settembre dello stesso anno, è il Segretario Generale della NATO Joseph Luns che deve sbrogliare la matassa: va a Reykjavík e obbliga le parti a calmarsi e firmare l’8 novembre un nuovo trattato.

Come la Guardia Costiera islandese taglia le reti a strascico
Si riconosce di nuovo all’Islanda l’ampliazione delle acque territoriali, ma i britannici possono pescare a strascico fino a 130mila tonnellate l’anno.
La Gran Bretagna non era così disgustata dall’accordo raggiunto, e così finisce la Seconda Guerra del Merluzzo e tutti a mangiare fish and chips felici e contenti.
Ma quando mai.
Il 19 luglio 1974, il peschereccio Forester, uno dei più grandi tra i pescherecci a strascico britannici, viene sorpreso molto al di dentro dei limiti accordati.
Dopo un inseguimento di 185 km, i marinai islandesi lo catturano, mettono in gattabuia il capitano e lo rilasciano solo previa cauzione.
Più o meno un anno dopo, il 15 luglio 1975, l’Islanda annuncia di voler ampliare nuovamente i propri limiti territoriali.
Si gesta la Terza Guerra del Merluzzo
Il clima ora è favorevole alle istanze islandesi, dato che in seno all’ONU si vagliava da qualche tempo la possibilità di estendere i bacini di pesca dei vari paesi, a livello universale.
E l’Islanda, ONU o non ONU, manterrà la parola data: da novembre, si arroga diritti esclusivi di pesca fino a 370 km dalla costa.
Le scaramucce tra militari e pescatori di ambo i paesi aumentano in frequenza ed intensità. Ci scappa il primo morto britannico adesso: un pescatore a cui un pattugliatore islandese aveva tagliato le reti.
I britannici adesso dispiegano forze finora non utilizzate: sono disposti ad abbassare la guardia sull’URSS, pur di non farsi mettere i piedi sopra la testa dagli islandesi.
Il 19 febbraio 1976, Londra rompe le relazioni diplomatiche con Reykjavík.
Gli islandesi, spauriti, corrono ad acquistare cannoniere americane. Al nisba di Kissinger, cercano di acquistare fregate russe.

Collisione tra Scylla e Odinn, nella ormai detta Terza Guerra del Merluzzo
Senza ausilio né da una parte né dall’altra, Reijkiavik ricorre con forza all’arma geopolitica: minacciano la chiusura della base NATO di Keflavik.
Con lo spettro strisciante della guerra nucleare tra URSS e USA, c’è poco da scherzare.
L’1 giugno 1976 arriva infine un accordo, mediato dalla NATO: si riconosce all’Islanda la stragrande maggioranza delle richieste avanzate, inclusi i 370 km esclusivi.
I britannici possono usare appena 24 pescherecci e portarsi via un massimo di 30.000 tonnellate annue.
E così, dal 1 giugno 1976, data della firma dell’ultimo trattato, la pace piscatoria è scesa tra i due paesi.
L’Islanda ne esce vincitrice a tutto campo. È il Davide che ha sconfitto Golia.
Considerazioni Finali
Un paese i cui unici assi nella manica, a parte i pesci, erano un paio di geyser e una golosa posizione geopolitica negli equilibri della Guerra Fredda, ha sconfitto la Gran Bretagna, paese che è arrivato a possedere un quarto del pianeta.
In questi ultimi anni, ci sono stati atti di riconciliazione tra civili e militari di ambo le parti.
La legislazione marittima e gli approvvigionamenti ittici sono oggi molto diversi di quanto fossero quarant’anni fa, dunque, ogni possibilità di ulteriori conflitti sembra essere scongiurata.
Chissà se oggi, quando mangiano il merluzzo, gli islandesi sogghignano in segreto pensando alla sconfitta inflitta ai britannici.
Bibliografia Raccomandata
Il pesce è finito. Lo sfruttamento dei mari per il consumo alimentare , di Gabriele Bertacchini
Islanda – The Passenger di autori vari
Islanda, Lonely Planet
Il naufragio della Querina. Veneziani nel circolo polare artico, di Querini, de Michiele e Fioravante
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