Questo post parla dell’Italian Chapel, un monumento di bellezza e orgoglio per ogni italiano, nelle fredde isole del Nord.
Piccolo viaggio nel tempo e nello spazio.
Siamo alle Orcadi, profondo nord della Scozia.
Queste sono isole verdi ma prive di vegetazione arborea. I cieli sono vasti al punto da suscitare un attacco di agorafobia.
E giorno e notte, un vento gagliardo gonfio di salsedine. Ci sembra di bere il mare ad ogni inalazione.
Precisamente, siamo nella parte nordorientale di Lambholm, un isolotto di una quarantina di ettari che non ha abitanti stabili, se si fa eccezione dei pesci allevati in una ex cava.
Più precisamente ancora, siamo qui in piena Seconda Guerra Mondiale.
Ci sono degli italiani.
Che diavolo ci fanno quassù?
Per spiegarlo occorre fare un passo indietro.
La storia precedente all’Italian Chapel
Il 14 ottobre 1939 è un pessimo giorno per gli inglesi.
Il sottomarino tedesco U-47 affonda a Scapa Flow la HMS Royal Oak, nave da guerra della Royal Navy varata trent’anni prima.
Scapa Flow è la principale base marina britannica.
Da qui si coordinarono le azioni navali britanniche sin dalla Prima Guerra Mondiale.
In quel giorno di ottobre, Churchill capisce che la base non era poi così impenetrabile come credeva.
A guerra appena iniziata, era indispensabile contare su una solida difesa marittima.

La nave britannica HMS Royal Oak
L’affondamento della nave da battaglia non era un colpo mortale, tra l’altro la nave non era mai stata sufficientemente veloce come da poter disporne a piacimento nell’avanguardia.
Ma si trattava pur sempre di una perdita materiale, di più di 800 soldati uccisi di un colpo e di una gran sventola psicologica.
Churchill allora si reca sul posto, valuta la situazione e decide di alzare degli sbarramenti a protezione della base navale.
Iniziano quindi i lavori delle Churchill Barriers.
Dapprima, il progetto: l’azienda Balfour Beatty Plc viene incaricata dell’infrastruttura.
Vengono costruiti dei modelli delle barriere all’Università di Manchester e a maggio 1940, finalmente, iniziano i lavori preparatori.
Arrivano i prigionieri italiani in Scozia
La portata del progetto richiede una gran quantità di manodopera.
Gli inglesi pensano bene di ricorrere a… agli italiani.
Le vittorie inglesi in Nordafrica avevano messo nei campi prigionieri un certo numero di soldati italiani.
Nel 1942, dal sole di Tobruk e Bengasi arrivano in 550 alle gelide Orcadi: negli anni successivi, il loro numero raggiungerà le 1.300 unità.
Iniziano i lavori per i quattro principali sbarramenti previsti.
Gli italiani vi lavorano, ma contemporaneamente, trovano il tempo di erigere una… chiesa.
Nasce il progetto dell’Italian Chapel
Duecento di loro sono alloggiati nell’accampamento detto Camp 60.
Il cappellano militare Giacomo Giacobazzi, insieme al nuovo comandante del campo Thomas Pyres Buckland, si mettono d’accordo: chiesa sia.

Padre Giacomo Giacobazzi nel 1955, dieci anni dopo la fine della sua esperienza come cappellano militare a Lambholm
Con il tempo, verrà chiamata Italian Chapel, ‘Cappella Italiana’ od anche ‘Miracolo Del Campo 60’.
Gli italiani avevano già dato prova di certe sensibilità estetiche: vivevano in un campo di lavoro ed erano prigionieri di guerra, sì, ma avevano già sistemato le stradine interne al Camp 60, abbellito i dormitori e piantato aiuole di fiori.
D’altra parte, avranno pensato, se dobbiamo passare alcuni anni in queste tredici baracche, è meglio farlo circondati da un minimo di bellezza.
Ma la creatività degli italiani non si ferma qui: tirano su una baracca a mo di dopolavoro militare: vi si dilettano con del teatro e giocando a biliardo (costruito da loro con del cemento).
Un soldato tra tutti, spicca per inventiva: Domenico Chiocchetti, trentino di Moena, prima ancora che si materializzasse l’idea dell’Italian Chapel, ha plasmato con filo spinato e cemento una statua di San Giorgio.
Sarà lui a decorare la maggior parte del tempio nonché a coordinare il lavoro degli altri soldati.
Oggi l’Italian Chapel, vista dalla facciata, sembra simile ad altre chiese, ma spostandosi un po’, uno vede subito che si tratta di un singolare edificio. Un baraccone militare in lamiera.
Costruire l’Italian Chapel in un campo di prigionia
Chiaro: c’è da coniugare le necessità belliche con la disponibilità di tempo e materiali.
Non c’è pietra disponibile, né legno.
Se tirassero su l’Italian Chapel come una chiesa canonica, avrebbero bisogno di ben altri strumenti.
E molto probabilmente la guerra, per quanto incerto ne fosse l’epilogo, sarebbe finita prima.
Allora mettono insieme due baracconi Nissen, di quelli prefabbricati in acciaio ondulato dall’uso tipicamente militare, semicilindrici.

Facciata dell’Italian Chapel
Poi, coprono la superficie esterna della nascente Italian Chapel con del cemento, per evitare l’aspetto eccessivamente marziale, e quella interna con dello stucco, che permetterà agli abili artigiani italiani di riempirne le pareti di affreschi.
La creatività non solo è stata utile nell’abbellire la chiesa con pennelli e colori, ma anche nel procacciamento dei materiali.
Il sorprendente cancello in ferro battuto, le finestre, i lampadari, i candelabri e l’altare, sono tutti pregevoli esempi di autarchia applicata all’arte.
Il cancello viene eseguito da Giuseppe Palumbi, fabbro di professione: mette al servizio della causa le sue abilità di artigiano e in quattro mesi consegna il pregevole pezzo.
Con le pochissime risorse a disposizione, questi soldati-artisti italiani hanno davvero fatto una chiesa dell’Italian Chapel.
Per di più, edificata nelle sparute ore libere, dato che lavoravano a tempo pieno nella costruzione dei 2.3 chilometri di barriere marine.
Non sorprende l’ampio uso di cemento: per via del progetto in cui erano coinvolti gli italiani, certamente era un materiale che non scarseggiava lassù.

Interno della Italian Chapel con il cancello in ferro battuto
Di cemento è l’altare dell’Italian Chapel, mentre le due tende dorate a destra e sinistra dello stesso, vengono acquistate ad un’azienda tessile di Exeter, con i risparmi dei prigionieri.
Gli italiani ci tengono alla bellezza.
E qui viene un punto interessante: nelle intenzioni iniziali, delle due baracche Nissen, una sarebbe diventata una cappella, ma l’altra sarebbe stata usata come scuola.
Davanti al contrasto tra la nuda baracca metallica e la cappella riccamente decorata, decidono alla fine di abbellire tutto.
Alla fine, mettono su la facciata: cemento di nuovo, dipinta di bianco e rosso, con un piccolo campanile, due finestre ed un’effigie di Gesù Cristo sopra la porta principale.
Se ne vanno i prigionieri italiani da Lambholm
Il 9 settembre 1944 la maggior parte degli italiani viene spostata in un nuovo campo di prigionia in Inghilterra, nello Yorkshire.
È stata usata solo per poco tempo, la chiesa, e non è ancora stata completata.

Domenico Chiocchetti imparando a dipingere in uno studio ad Ortisei, a fine anni ’20.
Chiocchetti sa che non può andarsene prima di aver portato a termine la sua missione.
Gli viene concesso di restare a Lambholm, fino a quando terminerà l’opera.
Gli italiani se ne vanno a malincuore, ma il Lord Luogotenente Sutherland Graeme, l’uomo della Corona nelle Orcadi, garantisce che gli isolani avranno cura della loro chiesa.
Finisce la Seconda Guerra Mondiale
La Guerra finisce. Chiocchetti resta ancora un po’, poi torna alla sua valle trentina e Lord Graeme, fedele alla parola data, nel 1958 crea un comitato popolare per la salvaguardia della piccola chiesa.
Ma Chiocchetti sapeva, prima ancora di lasciare Lambholm tredici anni prima, che si sarebbe portato la chiesa con sé vita natural durante.
Nel 1960, la BBC si interessa alla cosa e organizza un viaggio a Chiocchetti, per farlo partecipare a dei lavori di manutenzione.

Soffitto dell’Italian Chapel di Lambholm, dipinto da Domenico Chiocchetti
Alla fine dei lavori, viene officiata una riconsacrazione, trasmessa sia dalla BBC sia da RadioRai.
Partecipano circa duecento abitanti delle Orcadi: considerando la demografia dell’arcipelago, una folla di tutto rispetto.
Nel 1964, Domenico Chiocchetti e sua moglie Maria, fanno di nuovo visita alla chiesa.
Stavolta, vi aggiunge le 14 stazioni della Via Crucis.
Nel 1992 si celebrano i 50 anni dall’arrivo dei prigionieri della Divisione di Fanteria Mantova all’isola scozzese.
Otto italiani vi partecipano, ma non Chiocchetti, che è troppo malato per viaggiare.
Morirà il 7 maggio 1999.
Chi vuole sapere di più sul prigioniero-artista trentino, può passare di qui ed ammirare la chiesa che ha eretto con i pochi mezzi a disposizione.
Il Comitato scozzese incaricato della custodia della chiesa, continua a mantenerla e vi si celebrano messe periodicamente.
Cosa rappresenta l’Italian Chapel
Come mai due pezzi di metallo e cemento sono così importanti?
Perché per Chiocchetti e gli altri prigionieri è stata un attimo di respiro in anni di affanno.
Diceva Imre Kertész che perfino nelle guerre e nelle prigionie ci sono lampi di felicità.
La chiesa è diventata un’attrazione turistica, con circa 100.000 persone che la visitano ogni anno, ed è al centro di libri, saggi e documentari.
Se stai pensando di visitare la Scozia, cerca di mettere l’Italian Chapel nei tuoi programmi.
Quella piccola cappella italiana è la prova che, in Gran Bretagna, c’è vita oltre Londra.
(E se fossi di passaggio in Galles, già che sono entrato nel capitolo ‘Suggerimenti turistici’, non mancare di visitare la zona dei Medici di Myddfai).
Scrive Chiocchetti nel 1960 in una lettera aperta agli abitanti delle Orcadi, quando lascia Lambholm senza sapere se e quando ritornerà:
La cappella è vostra, affinché la amiate e manteniate. Porto con me in Italia il ricordo della vostra gentilezza e meravigliosa ospitalità.
Vi ricorderò sempre, e i miei figli impareranno da me ad amarvi.
Vi ringrazio per avermi dato la gioia di rivedere la cappellina di Lambholm dove io, andandomene, lascio una parte del mio cuore.
Questi sono gli italiani che una volta partoriva il nostro paese.

Domenico Chiocchetti davanti l’Italian Chapel, la sua chiesa
Bibliografia Raccomandata
Scozia, guida della Lonely Planet
Wops. I prigionieri italiani in Gran Bretagna (1941-1946), di Isabella Insolvibile
The Italian Chapel, di Philip Paris
Bellissima storia. Grazie.
Bellissima storia, come posso citarla correttamente?
Grazie mille Mauro.
Scusa del terribile ritardo, il tuo messaggio è finito (non so come) nello spam e l’ho riscattato ora per puro caso.
Puoi mettere il link all’articolo, semplicemente. E grazie ancora 🙂