Questo post tratta di un luogo idillico e dei fatti tragici che cinque secoli fa vi sono successi.
Quanto successo nel corso de La Ribellione di Espadán è stato uno dei colpi più duri inferto ad una minoranza, quella musulmana, nell’ultimo millennio di storia.
Difficile crederci, eppure è andata così.
La Sierra di Espadán, teatro della Ribellione di Espadán
Ci sono in un paese angoli che le guide Lonely Planet non hanno ancora censito, né i bloggers di viaggio della domenica ancora instagrammato.
A pochi kilometri da València, costa orientale spagnola, c’è la Sierra de Espadán.
È una catena montuosa non troppo alta, i rilievi arrivano giusto a 1.100 metri, ma comunque impervia.
È una zona coperta di boschi ed arbusti, un paesaggio da Atlas marocchino quasi, che la Regione Valenziana pensò bene di tutelare dichiarandolo Parco Naturale nel 1998.

Suggestiva panoramica della Sierra di Espadán
Puoi passare di qui decine di volte ed ogni volta stupefarti.
Fare passeggiate ristoratrici, ammirare la caparbietà con cui l’uomo ha soggiogato una terra avara a base di uliveti terrazzati, accarezzare le querce da sughero pelate lungo i sentieri.
Puoi fare incontri fortuiti, come quello con l’aquila fasciata, che qui è di grande aiuto per tenere a bada gli abbondanti conigli; con la genetta, felino africano introdotto dagli arabi per eliminare i topi e che ha finito per acclimatarsi alla perfezione.
O con il gallipato, simpatico nome vernacolo del pleurodele di Waltl.
Che roba è? È una salamandra di un palmo e più di lunghezza che popola le pozze d’acqua, anche se non è proprio facile da vedersi.
Puoi arrivare qui e parlare con i vecchi che lavorano ancora oggi il legno del bagolaro per farne bastoni da passeggio; con i contadini al lavoro negli orti e gli osti nelle taverne degli scarsi villaggi.
Non c’è quasi modo di rendersene conto. Come narrava la regina Galadriel, la storia è diventata leggenda, la leggenda mito, e nessuno ormai è capace di ricordarlo.
Qualche toponimo dà un indizio: Il Burrone dei Morti, La Battaglia…
Qualche breve cenno su libri di storia che nessuno legge: la chiamano La Guerra di Espadán in qualche testo, La Ribellione di Espadán in qualche altro.
Tra pendii scoscesi e pini marittimi, tra il 1525 e il 1526 si è consumato un massacro ai danni della minoranza musulmana, all’interno dell’area aragonese, terre ormai cristiane da tre secoli.
Sono anni peculiari, come vedremo tra poco.

La cittadina di Alfondeguilla, 1.000 abitanti circa all’interno del Parco
C’è da armarsi di pazienza ed accedere ad archivi polverosi, per saperne di più.
La storia della Ribellione di Espadán
Le comunità cristiane e musulmane, in realtà, vivevano fianco a fianco da secoli.
Dall’invasione araba della penisola iberica (711 dC), le tre religioni monoteiste avevano sempre coesistito.
Sebbene non si trattasse di quella favolosa convivenza a volte mitizzata, considerati i tempi potremmo concludere che era un compromesso più che accettabile.
Sia in Al-Andalus che nelle posteriori Taifas (gli staterelli islamici nati dopo la dissoluzione del primo, organico Stato islamico centralizzato), ebrei e cristiani erano rispettati ed avevano il diritto di autogovernarsi all’interno della propria comunità religiosa.
È vero che i non musulmani erano tenuti a pagare un’imposta; è vero che non potevano fare proselitismo.
C’erano limitazioni, indubbiamente. Ma è anche vero che i non musulmani:
- godevano di libertà religiosa,
- regolavano i propri affari all’interno delle loro comunità con grande autonomia,
- ricevevano incarichi di grande responsabilità dalle élite musulmane,
- potevano muoversi liberamente sul territorio,
- e infine, i matrimoni interreligiosi erano più frequenti di quanto si pensi.
C’è da tener presente che nello stesso periodo, dall’altra parte del Mediterraneo, c’erano le Crociate.
Eppure, col senno di poi, in Spagna i segnali di una carneficina come la Ribellione di Espadán, c’erano già.
Quella dei mudéjares prima (musulmani in terra cristiana) e dei moriscos dopo (musulmani convertiti al cristianesimo, in terra cristiana), è una triste storia.
Sui picchi delle montagne della Sierra de Espadán, fu posto l’ennesimo chiodo sulla bara della convivenza.
Agli occhi dei cristiani, di quelli che avevano il potere in mano e di quelli che in mano avevano solo zappe e vanghe, i musulmani avevano rotto le scatole.
L’odio cristiano era un cocktail di ignoranza, di sentimenti religiosi molto devianti ma anche di considerazioni prettamente materiali. Quali?
Una fra tante: il lavoro.

Rovine del Castello di Ain, caratteristico villaggio all’interno della Sierra di Espadán
Dalle fonti che ci sono pervenute, sappiamo che i mori erano braccianti modello: lavoravano di più, meglio ed accettavano di buon grado minori compensi rispetto ai lavoratori cristiani.
Per i cristiani, non c’era spazio per l’empatia.
In un sistema economico feudale, in cui l’aristocrazia possiede i mezzi di produzione e il proletariato la forza lavoro, cristiani e musulmani subivano le medesime angherie da parte dei nobili.
Solo che agli occhi dei cristiani, i musulmani erano complici dei padroni. Suona familiare?
Il cocktail che porta alla Ribellione di Espadán
Quante volte, nel corso dei secoli, sarà risuonata la celebre frase: non è per essere razzista, però… ?
Rituffiamoci nel XVI secolo. Poiché pochi eventi hanno una sola causa, per scatenare la guerra aperta tra le due fazioni fu necessario il concorso di altri due fattori.
Il primo fu un tal Martin Lutero, che dalla Germania stava rompendo le uova nel paniere sia alla Chiesa Romana che a Carlo V d’Asburgo, il grande capo del Sacro Romano Impero dal suo trono di Madrid.
Il secondo fattore fu una certa Inquisizione, che iniziò cercando la purezza della fede per passare presto alla purezza del fuoco.
Roba da far passare Aerys della Casa Targaryen, per un piromane alle prime armi.
A inizi del ‘500, València è in pieno Siglo de Oro. Il commercio è effervescente, le arti e le scienze fioriscono, è la maggiore città spagnola e anno dopo anno si abbellisce di edifici e monumenti che sbalordiscono il viaggiatore.
Non c’è urbe in Europa con un quartiere a luci rosse più grande di quello di Valencia.
Eppure, niente di questo servirà: il clima sociale è surriscaldato, i venti di sventura iniziano a soffiare.
Nel 1519, i nobili lasciano la città per sfuggire ad un’epidemia di peste. Gli artigiani cristiani, stufi da un pezzo degli aristocrati, prendono il controllo della città.
Ma la situazione prende presto una brutta piega: nella loro furia antiaristocratica, invadono le campagne e i villaggi della Comunità Valenciana intera.
Ovunque trovino un musulmano, danno sfogo agli istinti più bassi.
Se va bene, è battezzato tra urla e bastonate; se va male, gli fanno la pelle.

Mandorleto all’interno della Sierra di Espadán. Le mandorle crescono bene, con questo suolo e questo clima
La ferita è aperta, quando nel 1525 un Consiglio di teologi su mandato di Carlo V, ci versa del sale.
Il Consiglio proclamò come autentici i battesimi propinati ai musulmani in quella che la storia rubricherà come La Ribellione delle Germanies.
In anni in cui il Padreterno e l’aldilà aveva una trascendenza ben diversa da quella che diamo loro oggigiorno, è facile immaginare che non tutti i mori presero bene quel decreto.
La Ribellione di Espadán, e le altre, hanno inizio
Varie furono le insurrezioni che si ebbero nel territorio dell’ex Corona di Aragona: per la durata e la portata, La Ribellione di Espadán fu certo la più esemplare.
Dai paesi e dalle campagne di quelle che sono oggi le province di Castellón de la Plana e Valencia, partirono i mori per organizzare la difesa.
A tutto c’era un limite, e per loro era stato superato. Si rifugiano tra queste montagne, che conoscono bene.
Eleggono un leader, un correligionario guercio di nome Carbau che veniva da Calanda, attuale provincia di Teruel.
Deve pensare che Carbau non è un nome da battaglia adeguato, visto che si autoribattezza con il più marziale Selim Almanzor.
Da questi massicci accidentati, si difendono e attaccano le forze cristiane mandate da Carlo V, ondata dopo ondata.
Ci vorranno mesi, prima di sconfiggerli.
Diremmo oggi che erano terroristi, e che era necessario riportarli alla ragione o passarli a filo di spada.
E purtroppo, non fu il primo né l’ultimo sopruso ai danni dei musulmani.
Peggiori vessazioni erano di lì pronte ad arrivare, fino a quella finale, l’espulsione definitiva del 1609, che interesserà il Regno di Aragona, Castiglia La Mancia, l’Andalusia e il resto della Spagna.
E questo, sarà materiale per un altro post.
Se vuoi saperne di più su come si svolse la Ribellione di Espadán, puoi leggere il libretto che ho appena pubblicato, frutto di mesi di ricerche:
La Ribellione di Espadán, di Pietro Scortechini Palomoni
Ti segnalo qui sotto altri testi interessanti, sulla storia della Spagna e sulla fase araba, che potresti trovare interessanti.
Letture sulla Spagna musulmana
La Spagna imperiale, 1469-1716 di John H. Elliott: un quadro storico generale della situazione spagnola dentro i fuori i confini, con un occhio di riguardo alla questione musulmana.
La Spagna Delle Tre Culture di Alessandro Vanoli: ottimo saggio su un argomento, quello della convivenza tra ebrei, musulmani e cristiani nella Spagna islamica, trattato molto ma raramente trattato come si deve.
La Mano di Fatima, di Ildefonso Falcones: è un romanzo che si legge tutto d’un fiato. La narrazione si svolge nel contesto di un evento molto simile a quello della Ribellione di Espadán.
Lo scrittore catalano è un maestro nel salvare capra e cavoli, in questo caso, la fedeltà storica ed una trama avvincente.
Per visitare la Sierra de Espadán, Comunità Valenciana, Spagna
Il modo migliore di arrivare è via aereo: l’aeroporto di València, che connette l’Italia intera con la terza città spagnola, è a circa 60 kilometri di superstrada dal massiccio montuoso.
Essendo il trasporto pubblico piuttosto complicato per muoversi da e verso la Sierra de Espadán, l’ideale è affittare una macchina.
I costi degli hotel nella Sierra de Espadán sono bassi, ad anni luce dagli hotel in València.
Il posto, inutile ribadirlo, è affascinante. Sono rimaste poche rovine, in queste montagne; ma la memoria della Ribellione di Espadán perdura.
Un percorso ideale sarebbe arrivare in una delle porte d’accesso al parco, tipo Segorbe o Almedíjar.
Da qui, addentrarsi via macchina nella Riserva, parcheggiare dove si preferisce (non c’è mai folla), e girovagare con l’aiuto di una guida come questa:
Guida della Comunità Valenciana, Anaya Touring
La guida turistica della Comunità Valenciana di Anaya, è il giusto compromesso tra una cartina facile da leggere, dei riferimenti culturali sui posti che si visitano e delle informazioni pratiche sulla Regione.
È d’obbligo provare la varietà gastronomica di queste terre: non si può lasciare questa fetta di Spagna senza aver provato l’empedrado (piatto denso e caldo a base di riso e fagioli bianchi) o l’olla segorbina (stufato di maiale, fagioli bianchi, cardi e spezie).
Trattasi di piatti piuttosto consistenti, per cui se passassi qui da giugno a settembre, ti restano sempre le deliziose paelle preparate con ingredienti a km zero, le cocas saladas (prodotti di panetteria non lievitati, conditi con un assortimento di ingredienti vegetali).
E inverno o estate che sia, non si possono non provare i flaons, pasticcini ripieni di marmellata di zucca e ricoperti di zucchero.
Qui, lontano dai centri a maggiore vocazione turistica come València, Sagunto o Cullera, nei bar o ristoranti è facile mangiare bene, abbondante e a poco prezzo, capiti dove capiti.
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Buone letture & Buon viaggio.
Pietro
Eccellente articolo!!
Ma come mai non la sa nessuno questa storia?
Sono passato da quelle parti giusto poche settimane fa, ci fosse stata un’indicazione o un cenno.
Grazie per le info.
Bella domanda. In parte, perché la storia interessa solo quattro gatti. In parte perché la Spagna ha un rappoto tormentato con l’Islam, e se è possibile lo schiva.
Una storia sconosciuta dentro una storia più grande altrettanto sconosciuta.
Molto interessante.