“Da anni do la voce d’allarme su questa cosa, ma non c’è verso di farsi ascoltare.”
È laconico il dottor Fringifoglia. “Si dà credito, nell’ambito scientifico, a panzane come l’omeopatia e l’agopuntura, ma non a patologie come questa”.
Già. La comunità medica inizia ad considerare plausibile fenomeni per molto tempo sospesi in una sorta di limbo pre-scientifico.
La sindrome di Stendhal, o quella di Gerusalemme.
Gran parte dei critici d’arte non credeva alla prima, e molti psichiatri hanno resistito per anni prima di dare credito alla seconda, con il DSM IV in mano.
Quello che cerca Fringifoglia, è di portare quella che ha battezzato come sindrome di Coicchiu all’attenzione dei colleghi medici e ricercatori.
Per ora, è considerato poco più di un ciarlatano.
La Sindrome di Coicchiu: in che consiste
Non sono certo io ad averla scoperta. Nella letteratura medica ho trovato casi simili già decenni fa. Diciamo che mi sono limitato a portare la cosa all’attenzione del mondo medico, che finora, non la sta prendendo con la dovuta serietà.
Roberto Fringifoglia, classe 1946, endocrinologo e psichiatra, è il maggior esperto italiano di questo ancora bistrattato disturbo della mente.
In che consiste la sindrome di Coicchiu?
Chi ne soffre, sperimenta un’improvviso e avvolgente smarrimento provocato dall’incontro sensoriale con del formaggio pecorino.

Fiore sardo, pecorino DOP.
Tale stato di eccitazione può insorgere alla semplice vista della forma o allo stimolo olfattivo, ma più spesso viene osservata quando la persona degusta il formaggio.
Tremori, sudorazioni alle mani ed alle ascelle, formicolio sull’addome, sensazione di leggerezza agli arti inferiori, palpitazioni.
“Ma ci sono pure casi di particolare gravità”, asserisce Fringifoglia.
Con pecorini erborinati DOP della Barbagia, riferisce casi estremi in cui la manipolazione del formaggio e l’introduzione nella cavità orale, hanno provocato brividi intensi, tachicardia e sensazioni di euforia estrema.
Il personale di Pronto Intervento è dovuto intervenire sedando pesantemente i pazienti, che sembravano essere entrati in una specie di nirvana organolettico che li portava a gettarsi a terra, contorcersi o correre scoordinatamente, incuranti degli ostacoli ambientali, dei colpi alle pareti.
È fondamentale immobilizzare i soggetti, in questi casi, prima che si facciano davvero male o di far male agli altri.
Non c’è una spiegazione chiara su questo fenomeno.
Come non ce n’è una ben definita neppure per le sindromi di Stendhal e Gerusalemme.
Patologie psicosomatiche simili, ma non troppo
La sindrome di Stendhal, come recita pure Wikipedia, è
una affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiri, vertigini, confusione e allucinazioni in soggetti messi al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza, specialmente se esse sono compresse in spazi limitati.
Si chiama così perché il primo a descriverla in termini riconoscibili è stato lo scrittore francese Stendhal, nel suo quaderno di viaggio.
Circa duecento anni fa, si stava godendo il suo Grand Tour, il viaggio che i nobili e i danarosi d’Oltralpe facevano in Italia alla scoperta della civiltà classica, come parte della loro formazione umanistica.

Stendhal, da cui prende nome la famosa sindrome.
Vi è mai successa una cosa del genere?
Vari critici d’arte italiani, tra cui Stefano Zecchi, ammettono la possibilità di un coinvolgimento emotivo, un cumulo di sensazioni positive, ma non credono ad un fenomeno patologico.
Eppure, il personale del Pronto Soccorso degli ospedali delle nostre città d’arte, non è dello stesso avviso.
I ricoveri presso queste strutture non sono così scarsi.
La sindrome di Gerusalemme invece, parte da una premessa diversa, ma produce risultati analoghi. Dice di nuovo la voce di Wikipedia:
Consiste nella manifestazione improvvisa, da parte del visitatore della città di Gerusalemme, di appassionati sentimenti religiosi e di un impulso a proferire espressioni visionarie.
Gli individui colpiti, generalizzando, tendono a indossare tuniche bianche, lasciarsi crescere la barba, recitare passi delle Sacre Scritture ed improvvisare sermoni in giro.
Manifestano ansia, voglia di isolarsi e nervosismo.
Gli uomini spesso credono di essere gli ultimi Messia e i cristiani tendono a credere di essere reincarnazioni di Gesù Cristo.
Le donne, a volte, sono convinte di essere incinta dell’ultimo Messia.
Fenomeni analoghi, i tre, ma secondo Fringifoglia c’è una differenza fondamentale.
Nella sindrome di Coicchiu, la cifra prevalente è l’esperienza del piacere. Chi ne è affetto può finire per farsi male, ma essi stessi vivono e ricordano l’esperienza come un raptus di estasi. Non c’è nulla del genere in Stendhal o Gerusalemme.

Uomo affetto dalla sindrome di Gerusalemme, secondo raccontato da un documentario di Katarzyna Kozyra.
La sindrome di Coicchiu: com’è stata scoperta
Da dove deriva il nome di questa affezione, dottore?
Dal cognome del primo paziente affetto che mi capitò. Pensai all’inizio a un’intossicazione provocata da qualche droga, ma i controlli diedero risultati negativi. Si trattava di un signore di mezza età, neppure quello che si direbbe un individuo a rischio di assunzione di stupefacenti.
Lavoravo al Pronto Soccorso di Nuoro, all’epoca. Nel corso degli anni, ebbi modo di raccogliere una casuistica rappresentativa, e il filo conduttore di tutti questi eventi era il pecorino. Lo stagionato di Orotelli era il più letale.
Inutile a dirsi, la letteratura medica non diceva niente.
Non si faceva il collegamento causa-effetto, per cui il consumo del pecorino non veniva neppure registrato nelle cartelle cliniche.
Ma quando ormai le prove erano irrefutabili, a rischio del ridicolo, Fringifoglia presentò gli esiti delle sue ricerche al XIX Congresso Generale della AEP, Associazione Europea di Psichiatria, tenutosi il 13 ottobre del 1989 a Vienna.
Neppure nella culla della psicanalisi gli diedero retta.

Gregge di pecore in Barbagia.
Tornato nella natia Sardegna, Roberto Fringifoglia si premurò di mandare campioni di tre tipi diversi di formaggio norcino a cinque eminenti colleghi: Yves-Jean Bonnefoy, Thure Ileypista, Rudolf Grossman, Benjamin Hitchens e Anatoli Koromin.
Risultati?
Tre di loro inviarono una nota di ringraziamento, dicendo che i formaggi erano strepitosi, ma che continuavano a considerare la sua ipotesi una follia.
Uno scrisse di avere una profonda avversione verso i prodotti caseari per essere stato scalciato, da piccolo, da una pecora, e di non averlo mai superato.
Un altro, infine, commentò più o meno ironicamente che nella bucolica isola anche vini e liquori dovevano essere ottimi.
Il dottore umbro, ormai in pensione, ha smesso di cercare di aprire gli occhi alla comunità internazionale.
I referti medici di quanti nel corso degli anni sono stati ricoverati a Nuoro con i sintomi della sindrome di Coicchiu, giacciono ignorati.
Le sue ricerche, idem.
Non sono riuscito a pubblicarlo non dico su Nature o sulla rivista della APA, American Psychiatric Association; ma neppure su TV Sorrisi e Canzoni. Lo prendo come una sconfitta professionale.
Fringifoglia porta la battaglia su un altro terreno
Ma Fringifoglia, da sardo caparbio qual è, non ha smesso di lottare.
Ha piuttosto portato le sue battaglie su un altro terreno.
Da sette anni, in un podere acquistato quando ancora esercitava la professione medica (dalla Barbagia si spostò a Roma), alleva pecore con l’obiettivo di produrre un pecorino di altissime proprietà organolettiche, ma che non provochi alcuna sindrome.
Non è uno da prendere le cose alla leggera.
Ha contattato il Centro di Miglioramento Genetico della Val Tiberina, sviluppato insieme a loro un ibrido tra la razza sopravvissana e la sarda, messo in libro paga uno dei più famosi mastri casari al mondo (Alphonse Bonnefoy, della maison laitière brettone Leclech’ard, campione del mondo nel 1995 e 2005 nei semistagionati e negli erborinati), ed è ora pronto a sbarcare sui concorsi internazionali di formaggi.
Ha in portfolio quattro tipi di pecorino diversi, per stagionatura, spezie impiegate ed affinatura.
Tutti syndrome-free.
Qual è l’umore di Fringifoglia, oggi?
Mah, non ho rimpianti. Forse mi daranno credito dopo morto, forse no. Non m’importa.
Ma ancora non riesco a capire perché tanta incredulità davanti a dati così contundenti. Per gente arrivata in età adulta senza aver mai provato un formaggio di primissimo livello come il pecorino sardo, dev’essere come vedere a colori per la prima volta.
Tanta euforia, in fondo, non mi parrebbe neppure fuori luogo.
I deliziosi pecorini sardi
Per provare le delizie casearie sarde, possibilmente senza contraccolpi psicosomatici:
Visitate la Barbagia, degustate i prodotti che ha da offrire, e ditemi se Fringifoglia non ha ragione.
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