Per un Marcos Rodríguez Pantoja che tornerebbe alla natura per libera scelta, c’è un Antonio Manuel Sánchez che tra i boschi c’è tornato per obbligo.
Il primo vive ormai in Galizia, mentre il secondo è rimasto nella natia Andalusia; nella Sierra di Grazalema, per essere precisi.
Il primo è noto come il Mowgli spagnolo, il bambino allevato dai lupi; il secondo è noto come el último bandolero andaluz, l’ultimo brigante andaluso.
E la sua storia è da film.
Chi è Antonio Manuel Sánchez, l’ultimo brigante
Antonio (soprav)vive in quel polmone verde dell’Andalusia meridionale che è la Sierra di Grazalema, uno dei luoghi più piovosi della penisola iberica.
È poco lontano da qui che nacque 47 anni fa.
L’Andalusia è stata terra di banditismo dall’antichità a poco più di 150 anni fa.
L’orografia del territorio, la distanza dai centri di potere e, negli ultimi secoli, l’abissale distanza tra i ceti sociali, ne sono stati la causa.

Primo piano di Antonio Manuel Sánchez, l’ultimo brigante.
Sanguinari o strateghi, solitari od organizzati in grandi milizie, i briganti hanno cessato un presidio lungo millenni nell’ultimo terzo dell’800, quando le pressioni poliziesche hanno ormai avuto la meglio.
Nei film e nelle serie TV sono tutti pieni di glamour, sia i più romantici sia i violenti.
La vita di Antonio invece, di glamour non ha niente.
Dorme sotto un riparo improvvisato fatto di teli di plastica, in un anfratto della montagna dove pure immagazzina le sue poche possessioni e custodisce i suoi cani.
Vive soprattutto cacciando gli ungulati che all’alba e al tramonto sono più attivi.
La Sierra di Grazalema è uno di quei posti così belli che, da una parte, vorresti conoscesse tutto il mondo.
Dall’altra, che fosse ignorato da tutti, per lasciarne intatta la bellezza.
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Ha una specie di lancia la cui lama ha ricavato da una lima, ma non gli manca una doppietta, con cui più di una volta ha minacciato non pochi malcapitati.
Ma non potrebbe vivere in una casa, con acqua corrente e un fornello a gas, andando a fare spesa al supermercato come tutti?
No. È ricercato dalle forze dell’ordine.
Per Antonio la situazione è chiara: non ha scelta. “Se mi catturano, in prigione mi ammazzo”, e fa il gesto del cappio al collo.
Ma come c’è finito, quassù, Antonio? E perché lo vogliono mettere tra le sbarre?
Come si è dato al brigantaggio?
In gattabuia ha passato buona parte del suo quasi mezzo secolo di vita, e per capire come, dobbiamo fare un passo indietro.
Antonio nasce a Benamahoma, una frazione del villaggio di Grazalema.
A 10 anni, si sposta con sua madre a Siviglia, dove lei aveva trovato lavoro come governante.
Non il padre, che Antonio non ha mai conosciuto.

Antonio Manuel Sánchez catturato dalla Guardia Civil spagnola nel 2011.
Più che andare a scuola, gli piace stare per strada, ed è lì che viene introdotto ad un mondo sordido da cui non uscirà più.
L’amico gitano Antoñito Leiva Jiménez lo avvicina all’eroina.
Da lì, inizia un’adolescenza fatta di metanfetamine, cocaina, scippi ai turisti, furti a mano armata.
Quando non si droga, è in giro a rubare nelle auto o fare il teppista in altro modo.
È solo questione di tempo prima che la gattabuia diventi la sua nuova residenza. Entra al penitenziario Siviglia Iº a 17 anni: dice Antonio che ne uscì traumatizzato. Eppure durerà poco in libertà.
Antonio non riesce a fermarsi.
A 19 anni è incarcerato di nuovo e stavolta ne uscirà solo 14 anni dopo.
Appena fuori le sbarre, va a Talavera de la Reina, vicino Toledo, per stare con una carcerata, cocainomane pure lei, con la quale s’era sposato in carcere solo per poterla vedere più spesso.
Durerà sei mesi, prima di ritornare a Benamahoma, dove sua madre era nel frattempo rientrata, e dove c’era sua nonna malata.
Per altri tre anni, vivrà di lavoretti, i cui scarsi guadagni destinerà a comprare droga.
A 37 anni, la Giustizia spagnola lo cerca di nuovo: nel 2002 aveva rapinato un supermercato a Oviedo, nelle Asturie.
Gli servivano i soldi per calmare le crisi d’astinenza, ma vaglielo a spiegare al giudice.
Antonio straccia la missiva e giura a sé stesso che non finirà di nuovo in prigione.
Il criminale fugge dalla Giustizia
E allora che fa? Va nel posto dove pensa che il lungo braccio della legge non arriverà, il posto che conosce meglio.
Le montagne e i boschi della Sierra di Grazalema.
È di casa tra le rocce e i pini di qui: suo nonno, bracconiere, se lo portava quand’era bambino.

Il corso del fiume Majaceite, nella Sierra di Grazalema.
Qui instaura la sua vita da brigante del XXI secolo: rubacchia nelle vicine proprietà agricole, assalta gli escursionisti che vanno a godersi l’eccezionale natura della zona, avverte a suon di minaccie a cacciatori ed avventori di tenersi alla larga.
Non manca qualche rapina a mano armata a un vicino benzinaio, che lui nega.
Caccia gli animali selvatici della Sierra, ma non manca di coltivare alcune piante di marijuana, l’ultimo vizio che assicura gli resta del suo passato turbolento.
La sua fuga lo mette di nuovo nel radar della Polizia e il fatto che abbia portato con sé una quattordicenne, sua cugina Samanta, trasforma il suo caso in una priorità nazionale.
Scatta l’Operazione Camina.
Le forze dell’ordine dicono: basta
Si scatena una battuta di caccia con più di settanta agenti, cani segugio ed un elicottero.
La Guardia Civil sa dove cercare: poco prima aveva minacciato a punta di doppietta due agenti che lo stavano cercando.
È il 2011 e la fuga di Antonio finisce: le forze dell’ordine lo esibiscono trionfanti come un trofeo di caccia alle telecamere. L’operazione finisce positivamente, l’incubo è finito.
Salvo che… non è finito.
Sette mesi dopo la cattura di Antonio, Samanta partorisce una bambina, che verrà chiamata Libertad.
E come c’era da aspettarsi, Antonio è in attesa del momento giusto per fuggire di nuovo.
Sono cinque anni quelli che gli sono toccati adesso, ma se già prima era intollerante alle sbarre, ora Libertad e la libertà sono troppo preziose per starsene in cella.
È il 2013 ed approfitta di un permesso di lavoro concessogli, per andarsene di nuovo.
Nella prigione di Siviglia, non lo rivedono.

Antonio Manuel Sánchez con una foto dei tempi del suo servizio militare, nella casa di famiglia di Benamahoma.
La polizia credeva che si stesse nascondendo in una città. Più facile passare inosservato, vivacchiare tra alberghi per senzatetto e procurarsi di che vivere.
E lo reputano troppo astuto per essere catturato facilmente.
La polizia, sembrerebbe, si sbagliava. Astuto sì, ma con un cuore di padre.
A modo suo, ma più vicino e affettuoso del padre che non ha mai conosciuto.
Da quanto hanno potuto verificare i pochi giornalisti che sono riusciti ad avvicinarglisi, è di nuovo nella Sierra di Grazalema.
Scende ogni tanto al paese per rivedere sua figlia, che ora ha sette anni.
La vita miserabile dell’ultimo brigante
Antonio soffre di schizofrenia, epatite e a furia di droghe, gli è rimasto un solo dente.
Libertà è in lista d’attesa per un trapianto renale, soffre di spina bifida e non può camminare.
Nella provincia di Cadice, il nome di Antonio incute terrore.
Nella Spagna contemporanea, tuttavia, c’è un alone di romanticismo intorno alla sua figura che è difficile da dissipare.
Aiuta il fatto che, beh, rapine e minacce quante vuoi, ma non si è mai macchiato di delitti di sangue.
Ma la polizia ha le idee chiarissime: “si tratta di un delinquente estremamente violento e pericoloso”.
Antonio dice oggi, ai giornalisti che una volta l’anno riescono ad incontrarlo, che non è più l’uomo violento e drogato che era. Che quella è la sua vita precedente.
Vorrebbe solo essere lasciato in pace, prendersi cura di sua figlia e tornare nella casa familiare di Benamahoma.
L’amore di padre è così forte che sarebbe disposto a consegnarsi, se solo gli lasciassero quella poca libertà di cui avrebbe bisogno per star vicino a Libertà.
Vaglielo a spiegare, alle forze dell’ordine.
Altrimenti, meglio il bosco.

Le montagne della Sierra di Grazalema, polmone verde dell’Andalusia.
***
Letture suggerite sull’argomento
Storia della Spagna nel Novecento, di Guy Hermet
La grande mattanza. Storia della guerra al brigantaggio, di Enzo Ciconte: una vasta panoramica sul fenomeno del brigantaggio, centrato su quello italiano.
Per visitare la Sierra di Grazalema, Spagna
Il modo migliore di arrivare è via aereo:
- dall’aeroporto di Málaga, che è a circa 13o km dalla Sierra di Grazalema;
- dall’aeroporto di Siviglia, che è a 110 km dal Parco ed ha anche più voli dall’Italia;
- infine, dall’aeroporto di Jérez, che è più vicino ma ha che pochi voli e solo da centro e nord Europa.
Essendo il trasporto pubblico piuttosto complicato per muoversi da e verso la Sierra di Grazalema, l’ideale è affittare una macchina.
E considerando le dimensioni di certe strade, una di taglia piccola o media va più che bene.
Per intenderci, i SUV io li eviterei.
I costi degli hotel nella Sierra di Grazalema sono bassi, in comparazione a quelli degli hotel della costa andalusa.
C’è abbondanza di strutture ricettive a prezzi contenuti e buona qualità. Se uno cerca delle vacanze rispettose del portafoglio, questa è una di quelle.
È un tipo di turismo versatile quello che si può fare qui, adatto a:
- Cicloturismo.
- Turismo familiare.
- Shopping: i capi in pelle prodotti ad Ubrique meritano un colpo di carta di credito.
- Turismo d’avventura: dal picco Albarracín (El Bosque), spiccano in volo i deltaplani e i parapendii; nel bacino di Zahara-Gastor, ci si può sgranchire le braccia con canoe e kayak.
- Itinerari archeologici: la strada romana tra Ubrique e Benaocaz è da percorrere, la Grotta della Pileta a Benaojan è una gioia dell’arte rupestre.
- Equiturismo: sono molti i percorsi disponibili, ben segnalati.
- Tour dei villaggi bianchi: una dei tour più spettacolari d’Europa. La Spagna araba on the road, concentrata in borghi di grande suggestione.
- Ovviamente, trekking, sia nella Sierra de Grazalema che negli altri Parchi Naturali della zona.
A proposito di trekking: se hai un Kindle e mastichi l’inglese, questa è una eccellente guida ai percorsi della zona, scritta da un appassionato di montagna, che è arrivato qui e non se n’è più andato:
Walking The Montains Of Ronda And Grazalema, de Guy Hunter-Watts
Guy Hunter-Watts gira il mondo, ma da quarant’anni la sua base è nelle montagne di Cadice. Non è difficile vederselo in giro, in riva a un ruscello o su una cresta, ammirando il paesaggio.
Suggerisco caldamente di fare almeno quella che passa nella Garganta Verde, la Gola Verde, a sud di Zahara de la Sierra.
Hai bisogno, qui come altrove, di un permesso che puoi ottenere facilmente al Centro de Visitatori di El Bosque, e già che ci sei, ti raccomanderei di andare con un buon binocolo, che le viste sono meritorie.
A parte il paesaggio in sé che è già un’ottima ragione, nella Sierra di Grazalema c’è un’impressionante colonia di grifoni: vedere da vicino uno di questi giganti del cielo, è tutta un’esperienza.
Se tuttavia preferisci il relax, risparmiarti la fatica della preparazione ed unirti ad un tour organizzato, ce ne sono di interessanti, come questo:
La gastronomia è indubbiamente da mettere alla prova: è onnipresente ed ottimo il prosciutto iberico, qui come ne La Mancia o nella vicina Estremadura.
Inoltre, all’interno dei Parchi vedrai spesso la cacciagione, nei menù. Cinghiale, quaglie, cervo, che popolano queste montagne.
Ma non mancheranno i consueti gazpacho, ajoarriero e revueltos (uova strapazzate con una gran varietà di ingredienti), filetti di manzo e maiale e abbondanti verdure.
È facile trovare piatti di pesce anche da queste parti, ma il classico è avvicinarsi al capoluogo Cadice o comunque alla costa, e deliziarsi con il tonno alla griglia appena pescato, meglio se preceduto dalle saporite ortiguillas fritte.
Proibito alzarsi dal tavolo senza aver provato il vino locale manzanilla, che non ho mai trovato fuori dalla penisola iberica.
Qui, tanto sulle montagne come sulla costa, trovare un buon ristorante è facile.
L’unico accorgimento è avere buonsenso: soprattutto se vieni in alta stagione, cerca un bar o ristorante frequentato dagli autoctoni, magari fuori dalla zona più turistica.
In ogni caso, qualsiasi sia il tuo tipo di viaggio, un buon punto di partenza generale è la guida Lonely Planet:
La guida turistica dell’Andalusia della Lonely Planet, è il miglior modo per familiarizzarsi con la destinazione prima di partire, ed avere un buono strumento a portata di mano da consultare.
È utile sapere che in Andalusia, nei luoghi distanti dai centri abitati (ed a volte anche in questi), le connessioni WiFi scarseggiano e la copertura delle reti mobili può mancare o andare e venire.
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Ci vedremo da queste parti?
Buone letture & Buon viaggio.
Pietro
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